Lungo la linea dell'Annapurna: un bikepacking nel cuore dell'Himalaya

 

Tutto inizia in una cucina, molto prima di arrivare a Pokhara, con la mappa dell'Annapurna Circuit stesa sul tavolo come un presagio, le curve di livello piene di numeri che ispirano sia paura che desiderio, bikepacking che si riempiono e si svuotano come onde. È così che Federico e Giulia preparano il loro viaggio in Nepal in bicicletta, con dubbi sussurrati, liste riscritte tre volte e quella sensazione quasi fisica che qualcosa stia per cambiare.

Volano verso l'Himalaya per colmare un vuoto che non ha nome, alla ricerca di un passaggio piuttosto che di una destinazione.

Poi arriva l'aereo, la bicicletta scompare sul nastro trasportatore, la vibrazione del decollo. Il finestrino mostra solo nuvole, poi un orizzonte che punta verso est. L'Himalaya è ancora fuori dalla vista, ma già chiama. Non è paura, non è euforia, è la consapevolezza che la vita scorrerà a un ritmo diverso per alcune settimane.


L'Annapurna dal basso, dove inizia davvero il viaggio in bicicletta in Nepal

 

Lasciano Pokhara tra clacson, fango e polvere, non il Nepal da cartolina, ma il suo primo autentico respiro.

Poi la strada sale, le terrazze di riso lasciano il posto a foreste subtropicali, ponti sospesi, canyon di pietra scura. La bici sembra più pesante, l'aria cambia odore, le gambe protestano. Il circuito ufficiale dell'Annapurna copre tra i 350 e i 360 km, ma con le varianti scelte da Federico e Giulia il loro viaggio supera i 400 km di pedalate e spinte.

È una transizione continua di paesaggi e culture, foreste, terrazzamenti coltivati, villaggi Gurung, antichi monasteri buddisti. Pedalare qui significa vivere un Nepal verticale, tropicale e umido alla base, essenziale e rarefatto più in alto. Il cambiamento non si misura solo con il GPS, ma anche con la mente.

 

 

 

Manang e il valore dell'acclimatamento, fermarsi per continuare

 

I primi giorni fino a Manang (3.540 m) sono una lezione di resilienza. Le strade sono ripide, la polvere non finisce mai e lo smog di Pokhara presenta il conto. Giulia ha la gola irritata, un po' di febbre e la montagna sembra suggerire di rallentare.

Manang non è solo una tappa di un trekking o di un bikepacking in Nepal, Manang è un maestro.

L'acclimatamento qui è una regola non scritta: scalare durante il giorno, dormire più in basso, lasciare che il corpo impari a respirare a una nuova altitudine. Federico e Giulia restano tre notti, una in più del previsto, per recuperare e onorare la montagna con rispetto.

Zuppe all'aglio, tè caldo, facili escursioni fino a 3.900 metri, a volte basta un solo passo sopra i 4.000 per capire se puoi continuare o se è meglio aspettare.

 

La marcia verso il cielo, in direzione di Thorang Phedi e del passo Thorong La

 

Il giorno più duro è quello che li porta a Thorang Phedi (4.500 m), sette chilometri interminabili quasi interamente a piedi, spingendo la bicicletta, con il fiato corto e l'energia che viene meno con l'altitudine.

Una volta lì, Federico compie una scelta decisiva per il successo del viaggio, trasportando da solo la bicicletta di Giulia fino all'High Camp (4.800 m). Sale con il peso sulle braccia e sulla schiena, poi ridiscende a Thorang Phedi in modo che la mattina seguente, durante la salita più impegnativa, Giulia non debba affrontare i restanti 300 metri di dislivello con una bicicletta carica.

La notte è gelida, -18 °C, e si svolge in una stanza di legno. La sveglia delle 3 del mattino rompe bruscamente il silenzio.

Ripartono al buio, con le lampade frontali che illuminano solo pochi metri di sentiero. L'aria è rarefatta, il vento spazza tra le rocce. La bicicletta non è più solo uno strumento, è diventata una compagna da proteggere.

L'ultima ora verso il passo Thorong La (5.416 m) è una battaglia mentale, respiro corto, vento che taglia la pelle, passi misurati e sostegno reciproco scambiato attraverso parole sussurrate e sguardi che dicono "continua ad andare avanti".

Poi, improvvisamente, un gesto di Federico, e Giulia capisce.

Davanti a loro si erge il passo più alto dell'Annapurna Circuit. Si appoggiano ai telai delle biciclette e Giulia sente gli occhi riempirsi di lacrime, non per fragilità, ma per il peso di tutto ciò che hanno sopportato e superato. Il vento gelido le scompiglia i capelli mentre lei lascia fluire le emozioni trattenute.

 


La montagna non è stata conquistata, è stata ascoltata, attraversata, rispettata. Intorno a loro, un mosaico di valli, ghiacciai e vette apre il mondo. Nessun applauso, nessun traguardo, solo il silenzio del vento e la certezza che una parte di loro rimarrà per sempre tra queste rocce.